I 12 marziani, di Francesco Toscano. Capitolo dodici.

12 settembre 2022

 Dodici.

 

Osservo le piante che crescono in serra quasi estasiato. Non mi balenò mai in mente, quando mi trovavo sulla Terra, che un giorno sarei potuto diventare un agricoltore; di agricoltori nel mio Stato, il Maine, ve n’erano pochi. I miei avi, originari di Portland, erano stati dei pescatori. A pochi metri di distanza da me Johannés cercava di raccogliere i frutti del nostro raccolto: dei pomodori. Li raccoglieva con molta cura, uno per uno, con tanta grazia, quasi a volerne catturare l’energia contenuta all’interno degli atomi di cui essi erano composti. Ella si accorse che io la guardavo con molta attenzione ed insistenza e, rivolto il suo sguardo verso di me, mi sorrise teneramente. Era proprio una bella donna Johannés. A volte io pensavo a lei in un modo che a lei non sarebbe piaciuto. Era alta e alquanto formosa la mia giovane amica Johannés. Era in gamba, il nostro ingegnere civile, per davvero! Red in quel momento era affaccendato ad esaminare il nostro stato psicofisico, leggendo il risultato degli esami clinici a cui egli ci aveva costretto  a sottoporci qualche giorno addietro: voleva conoscere il nostro stato di salute con impazienza, ci aveva detto. I mesi trascorrevano inesorabilmente. Marte era sempre pronto ad ucciderci alla prima favorevole occasione, ma noi tre sopravvissuti avevamo fatto un patto di alleanza: riuscire a vivere il più a lungo possibile, in modo tale da raggiungere la stazione marziana “New Millenium”, quanto prima. Il nostro primo Capodanno su Marte me lo ricordo ancora adesso. Brindammo con succo di pomodoro; il succo non aveva le bollicine dello spumante, ma nel complesso era molto buono. Johannés era stata davvero brava a realizzarlo per noi.  Eravamo sereni e felici di essere riusciti nel nostro intento: sopravvivere!

-         Joseph, vieni qui un momento! – Esclamò Red.

-         Che cosa c’è? – Gli chiesi io un po’ timoroso, consapevole del fatto che il mio stato di salute non eccellesse.

-         I tuoi valori non mi piacciono per niente!-

-         Perché qual è il problema?-

Red cominciò ad elencarmi una decina di valori risultati dal mio prelievo ematico che erano fuori scala. Il ferro era basso e altri miei parametri vitali gli avevano fatto sorgere il dubbio che io non mangiassi a sufficienza.

-         Ma se non mangi quasi nulla! – Disse Johannés.

-         Ma che dici, amica mia, non è vero!-

-         Senti Joseph, il problema non è perché non ti nutri a sufficienza, ma perché sei l’unico di noi sopravvissuti in grado di condurci, forte delle tue conoscenze ingegneristiche, a “New Millenium”; devi mangiare non solo per te stesso ma anche per la nostra sopravvivenza.

-         Non temete, che appena mi rimetterò in forma la prima cosa che farò è di costruire un robot in grado di assemblare un mezzo meccanico che ci consenta di viaggiare agevolmente sulla superficie polverosa di Marte alla volta della stazione marziana.-

 

Dissi ai miei giovani amici, mentendo; ero consapevole che avrei impiegato tantissimo tempo a costruire qualcosa che potesse funzionare e che potesse consentirci il trasferimento dal nostro campo base a “New Millenium”. Alla fine ci impiegai quasi un anno a costruire il robot che fosse stato in grado, a sua volta, di costruire una macchina in grado di trasportarci e farci arrivare a “New Millenium”. Costruire una struttura solida con gli elementi di cui disponevamo non era stato facile. Il robot, pur tuttavia, fu in grado di assemblare un rover, dall’aspetto bizzarro, sfruttando le parti meccaniche ancora integre della nostra navetta spaziale. Il robot costruttore, il prototipo di quelli che oggi scorrazzano sulla superficie di Marte assemblando tutte le strutture che costituiscono oggi la nostra base, sventrò, letteralmente, la navetta spaziale estraendo da essa l’alluminio necessario per la costruzione dello chassis del nuovo rover, oltre che tutta la componentistica elettronica necessaria per la “navigazione” sul Pianeta rosso. La costruzione delle quattro ruote motrici fu davvero un’impresa titanica. Non so come abbia fatto, ma alla fine il robot vi riuscì. Partendo dalla chimica di base presente su Marte, il robot costruttore riuscì a realizzare, in una specie di fonderia distante dal campo base oltre 100 metri, una struttura molecolare che aveva paritetiche caratteristiche della gomma utilizzata dai terrestri per la realizzazione delle ruote dei rover che avrebbero dovuto solcare il terreno polveroso di Marte. Il software di controllo e gestione era quello che era già stato installato nel drive del “Minotauro”, il quale divenne parte integrante della nuova creatura, una sorta di nuovo "perseverance". Ancora oggi se penso a quel risultato ottenuto in modo provvidenziale, mi viene ancora da piangere. Non piango per rispetto dei miei nipoti e degli altri componenti il mio nucleo familiare, i quali si potrebbero preoccupare per me vedendomi piangere. Ora spengo il computer. Vado a riposare un po’. Scusatemi, ma sono stanco. Un abbraccio, Joseph.


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