Dodici.
Osservo le
piante che crescono in serra quasi estasiato. Non mi balenò mai in mente,
quando mi trovavo sulla Terra, che un giorno sarei potuto diventare un
agricoltore; di agricoltori nel mio Stato, il Maine, ve n’erano pochi. I miei
avi, originari di Portland, erano stati dei pescatori. A pochi metri di
distanza da me Johannés cercava di
raccogliere i frutti del nostro raccolto: dei pomodori. Li raccoglieva con
molta cura, uno per uno, con tanta grazia, quasi a volerne catturare l’energia
contenuta all’interno degli atomi di cui essi erano composti. Ella si accorse
che io la guardavo con molta attenzione ed insistenza e, rivolto il suo sguardo
verso di me, mi sorrise teneramente. Era proprio una bella donna Johannés. A volte io
pensavo a lei in un modo che a lei non sarebbe piaciuto. Era alta e alquanto
formosa la mia giovane amica Johannés. Era in gamba, il nostro ingegnere
civile, per davvero! Red in quel momento era affaccendato ad esaminare il
nostro stato psicofisico, leggendo il risultato degli esami clinici a cui egli
ci aveva costretto a sottoporci qualche
giorno addietro: voleva conoscere il nostro stato di salute con impazienza, ci
aveva detto. I mesi trascorrevano inesorabilmente. Marte era sempre pronto ad
ucciderci alla prima favorevole occasione, ma noi tre sopravvissuti avevamo
fatto un patto di alleanza: riuscire a vivere il più a lungo possibile, in modo
tale da raggiungere la stazione marziana “New Millenium”, quanto prima. Il
nostro primo Capodanno su Marte me lo ricordo ancora adesso. Brindammo con
succo di pomodoro; il succo non aveva le bollicine dello spumante, ma nel
complesso era molto buono. Johannés era stata davvero brava a realizzarlo per
noi. Eravamo sereni e felici di essere
riusciti nel nostro intento: sopravvivere!
-
Joseph, vieni qui un momento! – Esclamò Red.
-
Che cosa c’è? – Gli chiesi io un po’
timoroso, consapevole del fatto che il mio stato di salute non eccellesse.
-
I tuoi valori non mi piacciono per niente!-
-
Perché qual è il problema?-
Red cominciò ad elencarmi una decina di valori risultati dal mio prelievo
ematico che erano fuori scala. Il ferro era basso e altri miei parametri vitali
gli avevano fatto sorgere il dubbio che io non mangiassi a sufficienza.
-
Ma se non mangi quasi nulla! – Disse Johannés.
-
Ma che dici, amica mia, non è vero!-
-
Senti Joseph, il problema non è perché non
ti nutri a sufficienza, ma perché sei l’unico di noi sopravvissuti in grado di
condurci, forte delle tue conoscenze ingegneristiche, a “New Millenium”; devi
mangiare non solo per te stesso ma anche per la nostra sopravvivenza.
-
Non temete, che appena mi rimetterò in
forma la prima cosa che farò è di costruire un robot in grado di assemblare un
mezzo meccanico che ci consenta di viaggiare agevolmente sulla superficie
polverosa di Marte alla volta della stazione marziana.-
Dissi ai miei
giovani amici, mentendo; ero consapevole che avrei impiegato tantissimo tempo a
costruire qualcosa che potesse funzionare e che potesse consentirci il
trasferimento dal nostro campo base a “New Millenium”. Alla fine ci impiegai
quasi un anno a costruire il robot che fosse stato in grado, a sua volta, di
costruire una macchina in grado di trasportarci e farci arrivare a “New
Millenium”. Costruire una struttura solida con gli elementi di cui disponevamo
non era stato facile. Il robot, pur tuttavia, fu in grado di assemblare un rover,
dall’aspetto bizzarro, sfruttando le parti meccaniche ancora integre della
nostra navetta spaziale. Il robot costruttore, il prototipo di quelli che oggi
scorrazzano sulla superficie di Marte assemblando tutte le strutture che
costituiscono oggi la nostra base, sventrò, letteralmente, la navetta spaziale
estraendo da essa l’alluminio necessario per la costruzione dello chassis del
nuovo rover, oltre che tutta la componentistica elettronica necessaria per la “navigazione”
sul Pianeta rosso. La costruzione delle quattro ruote motrici fu davvero
un’impresa titanica. Non so come abbia fatto, ma alla fine il robot vi riuscì.
Partendo dalla chimica di base presente su Marte, il robot costruttore riuscì a
realizzare, in una specie di fonderia distante dal campo base oltre 100 metri,
una struttura molecolare che aveva paritetiche caratteristiche della gomma
utilizzata dai terrestri per la realizzazione delle ruote dei rover che
avrebbero dovuto solcare il terreno polveroso di Marte. Il software di
controllo e gestione era quello che era già stato installato nel drive del
“Minotauro”, il quale divenne parte integrante della nuova creatura, una sorta di nuovo "perseverance". Ancora oggi se penso a quel risultato ottenuto in modo provvidenziale, mi
viene ancora da piangere. Non piango per rispetto dei miei nipoti e degli altri
componenti il mio nucleo familiare, i quali si potrebbero preoccupare per me vedendomi
piangere. Ora spengo il computer. Vado a riposare un po’. Scusatemi, ma sono stanco.
Un abbraccio, Joseph.
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