L’Egitto forse aveva la migliore
scorta d’oro del mondo antico.
Ma perché l'oro era così importante per gli Egizi
?
Innanzitutto l'oro è incorruttibile, non si
ossida, ed è simbolo di quella eternità che gli Egizi hanno sempre cercato
nella mummificazione dei corpi e nelle pratiche funerarie.
Inoltre l'oro era strettamente legato alle loro
divinità; gli Egizi ritenevano infatti che "la carne degli dèi" fosse
d'oro e le ossa di elettro, cioè d'oro bianco.
Forse più importante dell'aspetto religioso era
il potere politico e la posizione preminente che l'oro assicurava a coloro che
lo possedevano in grandi quantità.
Non solo. L'oro serviva anche all'aristocrazia
faraonica per far costruire da abili artigiani collane, braccialetti, anelli,
pendenti che indossavano in vita e che avevano poi la cura di far deporre nella
tomba per poterne disporre nell'Aldilà. Così l'oro, faticosamente estratto dal
buio delle miniere, tornava ancora sotto terra nel buio delle tombe.
All'oro usato in gioielleria si aggiungeva anche
l'oro donato dai Faraoni ai sacerdoti, indispensabile ai templi e ai santuari
per la celebrazione delle cerimonie giornaliere: vasi rituali e statue di
culto. Alcuni grandi santuari erano proprietari non solo di estesi terreni agricoli ma anche di miniere aurifere.
Nei templi le pareti di intere stanze erano
rivestite di foglie d'oro e il pavimento di certe sale era cosparso di pezzetti
dell'immortale metallo.
La punta degli obelischi, il
"pyramìdion" (la cuspide piramidale), era coperto d' oro massiccio
che all'alba rifletteva i raggi del sole appena spuntato sopra l'orizzonte a
simboleggiare la rinascita della vita.
Uno spettacolo certamente stupefacente per gli
abitanti dei villaggi ancora immersi nel buio che vedevano svettare sopra di
loro gli obelischi (pesanti centinaia di tonnellate e che potevano superare i 30 m d'altezza) dalla cui cima
si irradiava una morbida luce dorata.
Inoltre gli orafi egizi erano talmente abili da
riuscire a laminare l'oro in sottilissimi fogli (che non superavano i 0,01 millimetri di
spessore, quello di una cartina di sigarette), con cui venivano rivestiti
troni, mobili e molti altri oggetti come poggiatesta, archi, e le più svariate
suppellettili.
Dall’alba dei tempi gli uomini
sono ammaliati da leggende che narrano di luoghi che custodiscono dei tesori
nascosti.
L’uomo sembra quasi che “sia
programmato geneticamente” per “amare l’oro”.
Oggi più che mai si suppone che
l’oro, questo pregiato metallo, sia un’ancestrale connessione fra l’Homo Sapiens
e le stelle.
Alcuni teorici degli “antichi
astronauti”, fra tutti lo scrittore, studioso della civiltà Sumera, Zacharia Sitchin, hanno suggerito che “gli
antichi alieni” sono venuti sulla terra per estrarre l’oro.
Sitchin,
in particolare, nei suoi libri diventati un cult dell’ufologia, per meglio dire
dell’archeologia misteriosa, della paleufologia, narrava che gli Anunnaki, gli
abitanti del pianeta Nibiru, creatori dell’uomo, fra il 10.000 e l’8.000 a.C.,
dopo essere atterrati nella penisola del Sinai, ed essere sbarcati dalle loro
astronavi, si stanziarono sulla Terra al fine di ricercare ed estrarre dalle
miniere aurifere il prezioso metallo che sarebbe servito loro, a dire del
defunto professore, per “riparare“ e
“migliorare” l’atmosfera del loro mondo morente; essi, tuttavia, dopo aver per
tanti anni lavorato nei siti minerari, resisi conto delle difficoltà oggettive che
si incontravano durante la lavorazione finalizzata alll’estrazione del pregiato
metallo, e ritenendosi, giustamente, degli astronauti, avendo rivenuto sulla
Terra un ominide ai primordi della sua evoluzione, attraverso complessi
esperimenti di ingegneria genetica, crearono una nuova specie ibrida (Anunnaki
– ominide) da utilizzare come schiavo da impiegare nel faticoso lavoro in
miniera: nasceva così l’Homo Sapiens.
Milioni di persone, in tutto il
mondo, credono che in passato siamo stati visitati da esseri extraterrestri. E
se fosse vero? Degli alieni antichi hanno contribuito a forgiare la nostra
storia? Se è così, potrebbero essere venuti qui alla ricerca dell’oro?
1.1. Il
mito di El Dorado.
Il lago Guatavita, in Columbia,
un antico cratere meteoritico, è stato per secoli accostato alla città dell’oro
per antonomasia: “El Dorado”.
Dal XVI sec. d.C. El dorado è
stato il Santo Graal dei cacciatori di fortune. A tutt’oggi, tuttavia, la
mitica città non è stata ancora trovata. Alcuni credono che Eldorado, o ciò che
ne è rimasto, con i suoi antichi tesori d’oro, siano in qualche modo nascosti
sul fondo del lago Guatavita.
Figura 2. Il lago Guatavita.
Si narra che gli abitanti della
regione in cui è ubicato il predetto lago (nella foto in alto, Figura 2)
possedessero tantissimo oro. Questo antico popolo, noto come i Muisca,
un’antica civiltà coeva degli Inca, governata nella parte meridionale di quel
territorio da un sovrano a nome Zipa, si narra che lavorassero questo pregiato metallo e che
fossero degli abili orafi.
Figura 3. Lo Zipa soleva ricoprirsi il corpo con oro, e dalla sua zattera offriva tesori alla
dea Guatavita nel mezzo del lago sacro. Questa antica
tradizione dei Muisca originò la leggenda dell'El Dorado..
I conquistadores che arrivarono nel XVI sec. d.C. chiamarono il re
Zipa con il nome di “El Dorado” che in spagnolo significa “quello dell’oro”.
Questo nome deriva dal più sacro rituale Muisca. La leggenda narra
che Zipa raggiungesse il centro del lago su una chiatta reale al fine di
offrire dell’oro al dio che pensava vivesse sul fondo del lago. Si narra,
altresì, che Zipa fosse, durante la cerimonia, ricoperto di resina d’oro e che
sovente si scrollasse di dosso la patina d’oro lavandosi con l’acqua del lago;
così facendo, nel corso degli anni, si accumulò tantissimo oro sul fondo del
lago. E’ così che si diffuse la leggenda di El Dorado nei pressi della
Columbia.
Gli indigeni americani, che facevano largo uso di monili in oro
fecero pensare agli spagnoli di essere giunti vicino ad un luogo mitico ricco
di oro dove i bisogni materiali fossero appagati.
Uno dei primi spagnoli a cercare
un luogo mitico fu Juan Ponce de Leon, che nel 1513 cercò in Florida la fonte dell'eterna giovinezza,
leggenda che aveva le sue origine nel medievale Romanzo di Alessandro. Hernán
Cortés e Francisco
Pizarro, nel
conquistare gli imperi azteco e incas rispettivamente credettero di essere giunti in questo
luogo leggendario ma poi la loro sete di potere e ricchezza li spinse a
continuare la ricerca.
Furono proprio i tesori riportati
in Spagna da questi conquistadores a spingere i banchieri Welser di Norimberga
a farsi coinvolgere nella ricerca dell'El Dorado. I Welser avevano ottenuto
dall'Imperatore Carlo V i diritti di sfruttamento delle
risorse naturali della colonia del Venezuela, a garanzia del prestito di centoquarantunmila ducati, necessari
a corrompere i Grandi Elettori che lo elessero Sacro Romano Imperatore.
Al prossimo post!
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