A proposito degli alieni..... di Francesco Toscano ed Enrico Messina
Capitolo I°
Ufo nell'antichità
Mohenjo-daro (Urdu: موئن جودڑو, Sindhi: موئن جو دڙو ) è un'antichissima città risalente all'Età del bronzo, situata sulla riva destra del fiume Indo, nell'attuale regione pakistana del Sindh, a 300 km a nord-nord-est di Karachi. Insieme ad Harappa, è una delle più grandi città della civiltà della valle dell'Indo (3300–1300 a.C.). |
Mohenjo-Daro fu una metropoli in cui si sviluppò una fiorente civiltà, sorta tra il 2500 e il 2100 a.C. che fu distrutta in circostanze misteriose ed i cui resti furono portati alla luce nel 1944 da Sir Mortimer Weeler. Tra i suoi enigmi vi è la scrittura pittografica, ancora indecifrata, in cui gli studiosi hanno classificato almeno 400 segni, simili a dei rebus. In merito alla sua fine, la scienza ufficiale propone due ipotesi: la prima considera l'inondazione del fiume Indo, e la seconda adduce le invasioni dei popoli arii. Ma i segni di bruciatura sui muri della città escluderebbe l'inondazione, e l'entità della distruzione escluderebbe gli scontri bellici preistorici "umani".
L'Autore di questo studio, Salvatore Poma, vede una stretta analogia tra la distruzione della città di Mohenjo-Daro e la distruzione di Sodoma e Gomorra. Innanzitutto, entrambe le regioni (la valle dell'Indo e la pentapoli biblica nella valle di Siddim) vengono devastate ed in entrambi i casi un personaggio, avvertito dell'imminente pericolo, riesce a rifugiarsi in una "zona di sicurezza". Inoltre, nelle due versioni il provvedimento punitivo viene inflitto come conseguenza di un reato a sfondo sessuale, dove nel caso di Danda/Mohenjo-Daro la punizione vendica la violenza sessuale subita dalla figlia di Bhargava. Questa vicenda, ritenuta per secoli un episodio fantastico, un mito, ha trovato invece una conferma scientifica quando l'archeologo David Davenport, esperto di scrittura sanscrita, ha rinvenuto, proprio a Mohenjo-Daro, evidenti tracce di contaminazione atomica avvenuta nel 2000 a.C, oltre ad innumerevoli oggetti vetrificati che solo un intenso calore avrebbe potuto produrre, e mura crollate sotto uno spostamento d'aria di inaudita potenza. La scoperta ha confermato il fatto che gli antichi scrittori indiani erano soliti distinguere scrupolosamente la letteratura mitica, chiamata Daiva, dalle cronache documentate, chiamate Manusa. E proprio nei Manusa sono descritte le funzioni e i particolari più elaborati dei Vimana. I testi epici indiani abbondano di lotte tra dei, fra dei e semidei, fra umani ed esseri celesti. Queste battaglie venivano condotte, da parte degli dei, con l'utilizzo di macchinari bellici decisamente avveniristici, Vimana in testa. Ma nonostante le straordinarie prestazioni, i Vimana potevano essere abbattuti. Nella sezione Karna Parva del Mahabharata si legge "Karna prese un'arma terribile, la lingua del Distruttore, la Sorella della Morte, un'arma tremenda e fulgida. Quando i Rakshasas (demoni non molto dissimili dai moderni grigi) videro l'arma eccellente e sfolgorante puntata verso di loro, ebbero paura. Il missile risplendente si levò nel cielo notturno ed entrò nella formazione simile a una stella, e ridusse in cenere il Vimana dei Rakshasas. La nave nemica cadde dal cielo con un rumore tremendo". Anche le armi lanciate dai Vimana potevano essere intercettate ed abbattute. Sempre nel Drona Parva si riporta di una lotta fra dei, con armi presumibilmente nucleari. "Attaccato da Valadeva, Jarasandha, molto corrucciato, ci lanciò addosso, per distruggerci, un proiettile capace di uccidere tutte le creature della terra. Proiettando una luce accecante, la massa di fuoco divise in due il firmamento, come un pettine che separa i capelli sulla testa. Quando vide l'oggetto fiammeggiante, il Figlio di Rohimi (una divinità) gli lanciò contro un'arma chiamata Sthunakarma; quest'arma annichilì la potenza del proiettile avversario, che si abbatté sulla terra ferendola e facendo tremare le montagne". La precisione realistica di questa ed altre narrazioni, anche le descrizioni dei Vimana sono obiettivamente troppo dettagliate nelle loro caratteristiche tecniche per poter essere considerati dei semplici miti. Di un Vimana chiamato Puspaka, descritto nel Ramayana, si dice chiaramente che la sua luminosità era dovuta a dei getti infuocati che fuoriuscivano da una serie di ugelli simili a colonne dorate; il suo interno era dotato di portelli metallici e di una grande cabina di comando, il "padiglione", con ambiente né freddo né caldo, munita di comodi sedili per i passeggeri, "i nobili seggi". Puspaka poteva essere telecomandato "secondo il desiderio dell'animo".
I Suvarnaka-Lanka, cioè i reperti rinvenuti nell'area della possibile deflagrazione dell'ordigno nucleare, sono stati sottoposti a rigorose analisi da parte degli esperti del C.N.R. con risultati imprevedibili per tutti, tranne che per David Davenport. Gli oggetti riportati (bracciali, anfore, bronzi, pietre) appaiono come fusi, vetrificati, per effetto di un calore dell'ordine di circa 1500 °C., cui è seguito un brusco raffreddamento, in una frazione di secondo. Nessun evento o calamità naturale poteva condurre a risultati del genere, ne eruzioni vulcaniche, ne meteoriti, ne alluvioni, ne terremoti, ne tanto meno battaglie convenzionali nelle quali fossero impiegati armamenti dell'epoca. “Un'esplosione atomica non è poi cosa tanto sorprendente” sostiene Davenport. “ I testi Vedici parlano di mezzi aerei ( i famosi Vimanas ) e di armi sofisticate quali soltanto oggi potremo immaginare. Dal che si deduce che chi impiegava una tale tecnologia era in grado di servirsi di energia di tipo atomica”. E' un ragionamento che non fa una grinza. Infatti non è pensabile che Valmiki, autore del Ramayana, e gli altri più o meno sconosciuti estensori dei testi Vedici possedessero una fantasia così sbrigliata da poter immaginare missili teleguidati, armi chimiche, batteriologiche e via dicendo, quando le armi impiegate in quel tempo erano soltanto archi, frecce e lance! E quando nel Ramayana si parla di queste armi non le confonde davvero con esplosioni atomiche e missili. Senza dubbio altrettanto sorprendente è il fatto che nel 2000 a. C. ci fossero astronavi che solcavano in lungo ed in largo i cieli del nostro pianeta! I manoscritti le chiamano “Vimanas”, vocabolo che significa letteralmente “uccello artificiale abitato”. Nel Ramayana si parla diffusamente di uno di essi, il “Pushpaka-Vimana”, in dotazione al re di Lanka, Ravana Dashagriva, che se ne era impadronito come trofeo dopo aver usurpato il trono al fratello Dhanada. Quando, dopo un'aspra lotta, Rama conquistò Lanka per liberare Sita, la sua sposa, rapita dal perfido Ravana, il Pushpaka-Vimana fu catturato come bottino di guerra e servì al vincitore per tornarsene in volo nella città paterna di Ayodhya. Tutto questo per dire che il viaggio aereo di circa 2000 Km e la descrizione che Rama fa a Sita del territorio sorvolato con i nomi dei fiumi, dei laghi delle città, è uno dei brani più interessanti del Ramayana. Ci si può ragionevolmente domandare come facesse il suo autore a descrivere il cielo buio, di giorno, nel sorvolare la vasta regione dall'alto e conoscere la giusta rotta...I casi sono tre: o Valmiki si è inventato tutto, il che è improbabile, o aveva avuto una reale esperienza di volo, oppure aveva a disposizione precise carte geografiche. A parte le difficoltà obiettive a rispondere ad interrogativi del genere, l'enigma delle astronavi della preistoria si complicano quando ai poemi epici, che parlano dei Vimanas, si aggiunge un altro manoscritto sanscrito: il Vymanika Shastra, che è un vero e proprio manuale aeronautico! L'incredibile non è tanto il fatto che anche in questo testo si disserti di vari tipi di velivoli, quanto il fatto che in esso siano descritti i loro piani tecnici, sia pure con l'approssimazione con la quale oggi un profano interessato alla NASA descriverebbe i piani dell'”Apollo” o del “Viking!
400 a.C. in India: dal Mahabbarata. I dischi Blazing hanno bruciato e distrutto un’intera città ed i suoi abitanti, prima di tornare alla mano di Vishnu.
202 a.C.: a Cuma il Sole parve che diminuisse di grandezza.
147 a.C.: a Cerveteri scaturirono fiotti di "sangue" e di notte il cielo e la terra furono visti ardere; a Lanuvio, fra la terza e la quinta ora due anelli di diverso colore circondarono il Sole, l’uno con una circonferenza rosseggiante e l’altro con una circonferenza bianca; un oggetto in cielo rifulse per 32 giorni.
106 a.C.: a Roma, durante il giorno, fu osservato in alto un oggetto luminoso volante; fu udito un cupo boato proveniente dall’alto e dal cielo fu vista cadere una palla.
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