La Luna conserva le tracce dell’origine del pianeta Terra.

4 dicembre 2013
4 dic. 2013. E se le storie narrate nel libro della Genesi della Bibbia fossero vere? Gli scienziati di tutto il mondo hanno relegato al mondo della religione le storie narrate dalla Genesi. Sulla Terra, l’erosione causata dalle forze della natura, e dalla vita che si è evoluta su di essa, ha cancellato buona parte delle tracce della creazione e del cataclisma che dette forma al pianeta. La formazione della Terra è datata a circa 4,54 miliardi di anni fa. Essa possiede un satellite naturale, la Luna, la cui età, stimata analizzando alcuni campioni delle rocce più antiche, è risultata compresa tra 4,29 e 4,56 miliardi di anni.
La Luna, a differenza del pianeta Terra, tuttavia, che non ha né vento, né atmosfera, né acque,e, quindi, non è soggetta alle forze di erosione, è rimasta intatta. Osservare il satellite naturale della Terra, orbene, equivale a dare una sbirciata alla Genesi.


Nei tempi antichi non erano rare le culture, prevalentemente nomadi, che ritenevano che la Luna morisse ogni notte, scendendo nel mondo delle ombre; altre culture pensavano che la Luna inseguisse il Sole (o viceversa). Ai tempi di Pitagora, come enunciava la scuola pitagorica, veniva considerata un pianeta. Durante il Medioevo alcuni credevano che la Luna fosse una sfera perfettamente liscia, come sosteneva la teoria aristotelica, e altri che vi si trovassero oceani (a tutt'oggi il termine mare è impiegato per designare le regioni più scure della superficie lunare).
Quando nel 1609 Galileo puntò il suo telescopio sulla Luna scoprì che la sua superficie non era liscia, bensì corrugata e composta da vallate, monti alti più di 8.000 m e crateri.
Sono state proposte diverse ipotesi per spiegare la formazione della Luna che, in base alla datazione isotopica dei campioni di roccia lunare portati sulla Terra dagli astronauti, risale a 4,527 ± 0,010 miliardi di anni fa, cioè circa cinquanta milioni di anni dopo la formazione del sistema solare.
Queste includono l'origine per fissione della crosta terrestre a causa della forza centrifuga, che però richiederebbe un valore iniziale troppo elevato per la rotazione terrestre; la cattura gravitazionale di un satellite già formatosi, che però richiederebbe un'enorme estensione dell'atmosfera terrestre per dissipare l'energia cinetica del satellite in transito; la co-formazione di entrambi i corpi celesti nel disco di accrescimento primordiale, che però non spiega la scarsità di ferro metallico sulla Luna. Nessuna di queste ipotesi inoltre è in grado di spiegare l'alto valore del momento angolare del sistema Terra-Luna.
Le sei missioni Apollo sbarcate sulla superficie lunare hanno riportato sulla Terra 2.415 campioni, dal peso complessivo di 382 kg. La maggioranza dei campioni sono stati raccolti dall'Apollo 17 (111 kg). Le tre missioni sovietiche Luna hanno riportato altri 326 grammi in totale.
I campioni lunari delle missioni Apollo sono stati raccolti usando diversi strumenti, come martelli, rastrelli, pale, pinze e carotatrici. La maggior parte sono stati prima fotografati per registrare le condizioni in cui si trovavano. Sono stati posti all'interno di buste e poi dentro un contenitore speciale (Special Environmental Sample Container) che li proteggeva dalle contaminazioni terrestri.
I circa quattrocento chilogrammi di suolo e di rocce lunari riportate sulla Terra dalle varie missioni Apollo, sono risultati alquanto preziosi per meglio comprendere l’origine del nostro pianeta e del suo satellite naturale; a vent’anni dal primo allunaggio, pur tuttavia, lo studio delle rocce lunari non era ancora terminato.
Ad uno dei primi campioni di roccia lunare esaminati dagli scienziati della Nasa fu attribuito il titolo di “Roccia della Genesi”, termine coniato, in particolare, dal premio Nobel Harold Urey; essa aveva un’età di 4,1 miliardi di anni.
Escludendo la possibilità di trovare in futuro rocce ancora più antiche, quelle finora rinvenute hanno confermato l’età del sistema solare con uno scarto di cento milioni di anni (4,6 miliardi di anni) – età che, fino a quel momento (1969-1972), era stata solo possibile ipotizzare in base allo studio dei meteoriti caduti sulla Terra.
La teoria più accreditata circa la formazione della Luna è quella secondo la quale essa si sia formata a seguito della collisione di un planetoide delle dimensioni simili a quelle di Marte con la Terra quando quest'ultima era ancora calda, nella prima fase della sua formazione (tale planetoide è chiamato a volte Theia).
Il materiale scaturito dall'impatto rimase in orbita intorno alla Terra e per effetto della forza gravitazionale si riunì formando la Luna. Detta comunemente la Teoria dell'Impatto Gigante, è supportata da simulazioni pubblicate nell'agosto 2001.
Una conferma di questa tesi deriva dal fatto che la composizione della Luna è pressoché identica a quella del mantello terrestre privato degli elementi più leggeri, evaporati per la mancanza di un'atmosfera e della forza gravitazionale necessarie per trattenerli. Inoltre, l'inclinazione dell'orbita della Luna rende piuttosto improbabili le teorie secondo cui la Luna si formò insieme alla Terra o fu catturata in seguito. Uno studio del maggio 2011 condotto dalla NASA porta elementi che tendono a smentire questa ipotesi. Lo studio, eseguito su campioni vulcanici lunari, ha permesso di misurare nel magma lunare una concentrazione d'acqua 100 volte superiori a quelle precedentemente stimate. 

Secondo la teoria dell'impatto l'acqua dovrebbe essersi dissolta quasi completamente durante l'impatto mentre dai dati qui ricavati la quantità d'acqua stimata è simile a quella presente nella crosta terrestre.
Un altro studio della NASA indica che la faccia nascosta potrebbe essere stata generata dalla fusione tra la Luna e una seconda luna della Terra, la quale si sarebbe "spalmata" sulla faccia lontana della Luna che conosciamo. Questa teoria spiegherebbe anche perché il lato nascosto della luna si presenti più frastagliato e montuoso rispetto al lato visibile del satellite terrestre.
La composizione della Luna è, sotto molti aspetti, simile a quella della Terra, tuttavia è diversa in alcuni punti essenziali. Nel XVIII secolo Pierre-Simon de Laplace giunse alla conclusione che i due corpi celesti, Terra – Luna, si fossero formati l’uno accanto all’altro, prima la Terra e poi la Luna. La Terra e la Luna, aveva dunque suggerito, erano sorelle, partner di un sistema binario (due pianeti) in cui orbitano attorno al Sole, mentre l’una “danza” attorno all’altra.

La teoria generalmente accettata, oggi, è che i satelliti si siano formati da ciò che rimane della materia primordiale dalla quale è nato il pianeta “genitore” e si potrebbe applicare anche al sistema Terra – Luna.

Un’altra scoperta del programma Apollo si frappone all’accettazione della teoria della formazione contemporanea. La superficie della Luna suggerisce un “oceano di magma” creato dalla fusione parziale dell’interno della Luna. E per fare ciò serve una fonte di calore sufficientemente grande da fondere il magma. Come spiegare, allora, l’oceano di magma e le altre prove sulla Luna che parlano di un riscaldamento cataclisimico?

Secondo la teoria del gigantesco impatto, suggerita nel 1975 da William Hartmann, del Planetary Science Institute a Tucson, Arizona, e dal suo collega Donald R. Davis, le collisioni e gli impatti hanno svolto un ruolo molto importante nella creazione della Luna. Stante i calcoli dei due scienziati è possibile che la Terra, colpita da un gigantesco corpo celeste (asteroide, pianetino e/o altro corpo celeste delle dimensioni di Marte, che si dirigeva verso la Terra a 38.000 chilometri all’ora e che proveniva dall’esterno del sistema solare, la cui traiettoria puntava al Sole, ma la Terra, nella sua orbita di formazione, si frappose fra di essi), si fosse spaccata in due, una parte della quale divenne poi la Luna.
Da quest'impatto si sarebbe generato abbastanza materiale, nell'orbita circumterrestre, da permettere la formazione della Luna. Anche l'astronomo canadese Alastair G. W. Cameron era un convinto sostenitore di questa tesi. Si pensa, inoltre, che i pianeti si siano formati attraverso un'accessione di corpi più piccoli in oggetti maggiori e, al giorno d'oggi, è riconosciuto che impatti come questo potrebbero essere avvenuti anche per alcuni altri pianeti. Simulazioni al computer dell'impatto riescono a predire sia il valore del momento angolare del sistema Terra-Luna, sia la piccola dimensione del nucleo lunare. L'ipotetico corpo Theia si sarebbe formato in un punto di Lagrange relativo alla Terra, ossia in una posizione gravitazionalmente stabile lungo la stessa orbita del nostro pianeta. Qui Theia si sarebbe accresciuto progressivamente inglobando i planetesimi e i detriti che occupavano in gran numero le regioni interne del sistema solare poco dopo la sua formazione. Quando Theia crebbe fino a raggiungere la dimensione di Marte, la sua massa divenne troppo elevata per restare stabilmente nel punto di Lagrange, soprattutto considerando l'influenza di Giove nel turbare le orbite degli altri pianeti del sistema solare. In accordo con questa teoria, 34 milioni di anni dopo la formazione della Terra (circa 4533 milioni di anni fa) questo corpo colpì la Terra con un angolo obliquo, distruggendosi e proiettando nello spazio sia i suoi frammenti sia una porzione significativa del mantello terrestre. L'urto avvenne con un angolo di 45° ed ad una velocità di circa 4 m / sec. (circa 14.4 km / h, quindi rallentando rispetto alla fase d'avvicinamento calcolata in 40 km / h) e siccome i due pianeti erano ancora allo stato fuso, e - quindi - plastici, ancora prima dello scontro fisico, le forze mareali avevano iniziato a distorcerne gli stati superficiali prima, ed a smembrarne protocrosta e protomantello poi. Inoltre, sembra che quasi la totalità della massa lunare sia di derivazione dalla crosta e dal mantello della prototerra. La prototerra, colpita da Theia, avrebbe dimezzato il proprio tempo di rotazione dalle originale 8 ore a 4 ore.
Secondo alcuni calcoli, il due per cento della massa di Theia formò un anello di detriti, mentre circa metà della sua massa si unì per formare la Luna, processo che potrebbe essersi completato nell'arco di un secolo. È anche possibile che una parte del nucleo di Theia, più pesante, sia affondata nella Terra stessa fondendosi con il nucleo originario del nostro pianeta.
Si ritiene che un simile impatto avrebbe completamente sterilizzato la superficie terrestre, provocando l'evaporazione degli eventuali mari primordiali e la distruzione di ogni tipo di molecola complessa. Se mai sulla Terra fossero già all'opera processi di formazione di molecole organiche, l'impatto di Theia dovrebbe averli bruscamente interrotti.
È stato inoltre suggerito che in conseguenza dell'impatto si siano formati altri oggetti di dimensioni significative (ma comunque inferiori a quelle della Luna) che avrebbero continuato ad orbitare attorno alla Terra, magari occupando uno dei punti di Lagrange del sistema Terra-Luna. Nell'arco di un centinaio di milioni di anni al più, le azioni gravitazionali degli altri pianeti e del Sole ne avrebbero comunque destabilizzato le orbite, causandone la fuga dal sistema o delle collisioni con il pianeta o con la Luna.
Uno studio pubblicato nel 2011 suggerisce che una collisione tra la Luna e uno di questi corpi minori (dalle dimensioni pari ad un trentesimo di quelle lunari), potrebbe aver causato le notevoli differenze in caratteristiche fisiche esistenti tra le due facce della Luna.
Le simulazioni condotte suggeriscono che se l'impatto tra i due satelliti fosse avvenuto con velocità sufficientemente bassa, non avrebbe condotto alla formazione di un cratere, ma il materiale del corpo minore si sarebbe "spalmato" sulla Luna, aggiungendo alla sua superficie uno spesso strato di crosta degli altipiani (che oggi vediamo occupare la faccia nascosta della Luna, la cui crosta è spessa circa 50 km più di quelle della faccia visibile). Recentemente (2001) la ricercatrice statunitense Robin Canup ha modificato la teoria dell'impatto gigante illustrando che la neonata Luna sarebbe stata collocata su un'orbita non stabile e sarebbe ricaduta sul pianeta. L'attuale inclinazione dell'asse di rotazione terrestre è frutto del secondo impatto. La teoria del doppio impatto nasce perché, con un singolo impatto, non si sarebbe avuta la quantità di materia necessaria a formare la Luna, in quanto la massa del disco che si sarebbe condensata a seguito del primo impatto, sarebbe stata circa due volte inferiore a quella dell'attuale massa lunare. Inoltre, solo parte di questo materiale era al di là del limite di Roche, quindi non si sarebbe mai potuto aggregare per formare un satellite di grosse dimensioni.
Resta ancora da spiegare come mai, una Terra troppo piccola, si è ritrovata con una Luna troppo grande. Per trovare la risposta, il professore Z. Sitchin nel suo libro “L’altra Genesi” (titolo originale “Genesis Revisited” del 1991), afferma che è possibile trarre spunto dalla cosmogonia sumera. La Luna, al dire di Z. Sitchin, non è nata come satellite della Terra, ma bensì come il satellite di Tiamat[1], un pianeta di dimensioni maggiori che secondo quanto sostenuto da Z. Sitchin in origine si trovava al di là di Marte. I Sumeri già attribuivano a Tiamat una schiera di satelliti, “undici in tutto”. Collocavano Tiamat proprio dietro Marte, il che farebbe di lei un pianeta esterno, che acquisì la “schiera celeste” dagli altri pianeti esterni. Proprio come hanno affermato le ultime teorie, la cosmogonia sumera descrive un sistema solare giovane e instabile, dove planetesimali e forze gravitazionali emergenti disturbano l’equilibrio planetario e, a volte, fanno crescere a dismisura i satelliti. Secondo questa cosmogonia, a causa delle perturbazioni e delle condizioni caotiche presenti nel sistema solare, una delle undici lune di Tiamat, Kingu[2], crebbe sino a raggiungere dimensioni insolite. Nella Battaglia Celeste che seguì, Tiamat venne divisa in due: una metà venne ridotta in frammenti; l’altra metà, accompagnata da Kingu, venne scagliata in un’altra orbita e sarebbe diventata la Terra con la sua Luna.

Fonte:

Linkografia:


Bibliografia:
L’altra Genesi, di Z. Sitchin, Ed. Piemme, ISBN 978-88-384-8852-8, pag. 129 e ss.





[1] Nella mitologia babilonese, Tiāmat è un mostro del caos, una dèa primordiale degli oceani e delle acque salate. Tiāmat si accoppiò con Apsû (o Abzu, il dio delle acque dolci) con il fine di creare gli dèi più giovani. Nell'Enûma Eliš, si oppose ad Apsû quando decise di sterminare le giovani divinità, avvisando il più potente tra loro, Enki/Ea, il quale riuscì ad addormentare Apsû con un incantesimo per poi ucciderlo. Etimologicamente, il nome Tiāmat, sembra correlato alle parole TI (Vita) e AMA(Madre). Tiāmat trae origine dalla più antica divinità sumera Nammu, la dèa della creazione, della quale prende la quasi totalità degli attributi. Secondo la mitologia babilonese, genera, insieme al marito Apsû, i serpenti mostruosi Lamu e Laamu, i quali a loro volta generano Anšar (dio dell'Alto) e Kišar (dio del Basso), che a loro volta generarono gli dèi Anunnaki, tra cui Marduk. Più tardi, quando il figlio di Ea, Marduk, comincia a creare problemi a Tiāmat giocando con le tempeste di sabbia ed i tornado, Tiāmat cospira vendetta creando undici spaventosi mostri ed erige suo figlio Kingu come loro generale, ma il suo piano fallisce quando Marduk li uccide tutti, Tiāmat inclusa. Dal corpo di Tiāmat si sarebbe formato il mondo, la terra e il mare. Tiāmat era anche conosciuta come Thalatte (una variante di talassa, parola in greco antico che significa "mare") nei testi di Berosso, in assoluto i primi volumi di storia universale in lingua greca scritti da un babilonese. Si ritiene che il nome Tiāmat fu abbandonato in una traduzione secondaria dei testi religiosi originali, a causa di alcuni copisti Accadi che si occuparono dell' Enûma Elishsostituendo il nome Tiāmat con la parola comune per "mare", da quando i due nomi diventarono essenzialmente gli stessi a causa della loro associazione.
[2] Nella mitologia mesopotamica Kingu è il figlio di Tiāmat, della quale diventa consorte, dopo la morte del padre Apsû. Secondo il mito cosmogonico narrato nell'Enûma Eliš, Tiamat, spinta da altre divinità, vuole combattere contro Ea e, perciò, chiama a sé una schiera di mostri e serpenti al cui comando pone il figlio Kingu. Quando i poteri magici di Ea non riescono a prevalere, questi chiede l'aiuto di Marduk che accetta in cambio del comando supremo sugli dèi. La richiesta viene accettata e Marduk ottiene armi potentissime, tra cui i sette venti. Scatena una tempesta nella quale imprigiona Tiamat nella sua rete immobilizzandola con i venti. Infine, circonda l'esercito nemico e cattura Kingu a cui ruba le Tavolette dei Destini. Kingu viene accusato della rivolta e per questo viene giustiziato. Ea mischia il sangue di Kingu all'argilla, creando così l'uomo, il quale dovrà lavorare per gli dèi sostituendo il compito precedentemente posto sulle spalle degli dèi minori.

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